Pochi giorni fa ho avuto occasione di recarmi in collina, sopra Forlì, e non ho potuto resistere al desiderio imperativo di fermarmi a Dovadola, dove si produce uno dei pani migliori d’Italia.

Come sono entrata nella piccola rivendita, sono stata raggiunta dalla fragranza dei tanti tipi di pane che vi erano esposti e dalla gentilezza di Anna dietro al bancone.

Sapeva tutto del pane che vendeva, chi lo aveva impastato a mano, dove era stato coltivato il grano e dove era stato macinato.

I pani non sono tutti uguali, e per questo bisogna avere un buon criterio di scelta, quando lo si acquista, che ci faccia mettere nella sporta della spesa un prodotto di qualità, perché, anche nel caso del pane, qualità va di pari passo con salute.

Oggi, sul pane, come su tanti altri alimenti, si gioca una battaglia spietata, la cui carta vincente sembra essere la freschezza, lo sfornarlo a tutte le ore, un millesimo di secondo prima della chiusura del negozio.

Ma un buon pane, con pochi ingredienti indispensabili, si conserva anche una settimana, non ha bisogno di essere sfornato ogni 5 minuti perché in 3 ore diventa duro.

Un buon pane contiene tutto il chicco del cereale, con le sue ricchezze: vitamine, proteine, grassi, minerali, amidi, enzimi.

Un buon pane ti rende sazio a lungo.

Un buon pane ha pochi ingredienti: farina integrale, acqua e lievito madre.

Un buon pane non contiene sostanze chimiche, emulsionanti, zucchero, addensanti, alcool.

Un buon pane, se consumato in quantità adeguate, non può farci gonfiare, ingrassare, procurare resistenza insulinica.

Un buon pane costa un po’ di più di un pane industriale, giustamente.

Ricordiamoci che, negli anni ’70, una famiglia media spendeva metà dello stipendio per l’alimentazione, mentre oggi, una buona parte delle famiglie non arriva a spendere il 20% delle proprie risorse per la spesa, in una corsa al prezzo più basso, all’offerta da volantino senza attenzione alcuna agli ingredienti di ciò che compra.

È vero che si risparmia sul cibo per avere soldi da spendere in tecnologia, computer, telefoni, abbonamenti a piattaforme televisive, dove, lì si, cerchiamo il TOP.

Ma il nostro sistema digerente non è pronto per questi cibi, è calibrato per gestire alimenti più vicini possibile a come la natura li crea.

Una farina 00, ultraraffinata, fino a diventare una polvere impalpabile, selezionata per avere un contenuto di glutine più elevato, in modo da essere più facilmente lavorabile industrialmente, mette in allerta il sistema immunitario intestinale, quasi come se non ne riconoscesse l’origine, il chicco di grano, avendone perse le caratteristiche.

Gli amidi, senza la protezione di fibre e vitamine liposolubili, si trasformano troppo velocemente in zuccheri che, passati nel sangue provocano un repentino innalzamento della glicemia con conseguente scarica di insulina per riportare la concentrazione di zucchero del sangue nella norma.

L’insulina, purtroppo, non viene dosata col bilancino di precisione, ma secreta in abbondanza, per sicurezza. Così, succede che la glicemia, dopo essersi alzata velocemente, si abbassa spesso anche un po’ troppo, dandoci quella sensazione di fame dopo poco che abbiamo mangiato, attivando quel meccanismo insano dello sbocconcellare tutta la giornata.

In natura non esistono cibi che provocano degli sbalzi così imprevisti della glicemia, neanche tra i frutti più dolci, perché la fibra e l’acqua contenuti mitigano gli effetti degli zuccheri.

Per capire meglio, pensiamo che il nostro sangue, in totale circa 5 litri, contiene, disciolti, circa 2,5 – 3 grammi di glucosio. Una bustina di zucchero (6 grammi) porta in 5 minuti il contenuto di glucosio del sangue al triplo del normale, 100 grammi di pane bianco, che contengono per il 90% amido (una lunga catena di molecole di glucosio) provocano, in mezz’ora l’effetto di 10 tazzine di caffè.

La conseguente ricerca continua di cibi che provocano questo stesso effetto è spiegata dal fatto che il picco glicemico accende, nel cervello, il centro della gratificazione (lo stesso stimolato dalle droghe). In situazioni di vita povere di gratificazione, è comprensibile il perché molte persone non riescano a prendere una distanza da pane bianco, pizze, dolci per compensare i propri dispiaceri.

Per questo c’è una enorme differenza di impatto tra il consumo di un pane bianco e uno integrale, nel quale la fibra e i grassi, rallentano l’assorbimento degli zuccheri, diluendone l’arrivo nel circolo sanguigno in tempo abbastanza lungo da non creare il picco e la catena della dipendenza.

Il mio grazie va quindi a chi mantiene viva la tradizione del pane buono, preparato con amore, con gli ingredienti giusti perché possiamo recuperare il gusto per i sapori genuini legati alla terra e che ci indica una strada che tutti possiamo percorrere alla conquista del nostro personale benessere psicofisico.

Bibliografia : Luca Speciani, Vivere senza diabete. Ed. tecniche nuove 2020