Quando ho cominciato a pensare a quale articolo scrivere per questo numero della rivista, che è dedicato al senso del gusto, mi sono fatta alcune domande.
Perché questo senso si è sviluppato? Qual è il senso dell’avere uno smisurato numero di papille gustative differenziate in tante percezioni diverse?
Durante l’evoluzione ci hanno spinto a mangiare di più o di meno?
Su questo argomento sono stati fatti numerosi studi, sia in Italia che nel resto del mondo (il più recente, del 2019 di Frontiers in Integrative Neuroscience), soprattutto per verificare se esiste un legame tra l’obesità e le papille gustative.
Il risultato di questi studi ha evidenziato che i pazienti in sovrappeso hanno un numero minore di papille gustative, e che le stesse sono meno sensibili ai relativi sapori.
Rimane spazio per un ulteriore studio che ci spieghi se l’obesità è causa o conseguenza di questo situazione.
Qualunque sia la conclusione alla quale si arriverà, non è difficile comprendere che una ridotta sensibilità ai sapori, ci può spingere ad assumere maggiori quantità di cibo, in un circolo vizioso che è difficile interrompere.
Infatti, se le nostre papille lavorano in maniera corretta, difficilmente riusciremo ad abusare di certi cibi molto saporiti, dal momento che dopo una certa quantità è più il disgusto del piacere.
L’ipotesi più plausibile che si sta facendo strada è che, essendo l’obesità accompagnata da un forte stato infiammatorio generale, questo possa creare a livello della nostra bocca una alterazione come quella descritta. E’ un meccanismo simile a quello che l’organismo mette in atto in seguito al consumo eccessivo di zuccheri, provocando una ridotta sensibilità dell’insulina, preludio al diabete.
Il sistema corpo cervello deve cercare di mantenere una propria omeostasi, per protrarre la vita più a lungo possibile e lo fa con i sistemi che ha a disposizione.
La conseguenza, in questo caso, è però negativa.
Il nostro intento rimane comunque, dopo avere evidenziato il problema, quello di proporre soluzioni, che possano essere sperimentate e integrate nelle proprie abitudini di vita per migliorarne la qualità e la durata.
Cominciamo ad analizzare quello che abbiamo detto finora, ovvero che l’obesità è legata a uno stato infiammatorio diffuso e che l’abuso di cibi troppo carichi di sapore, di calorie e di grassi, riduce la sensibilità delle nostre papille gustative.
Come possiamo lavorare su questi due problemi?
C’è uno stile alimentare, a me particolarmente caro, che ci può essere di grande aiuto.
Si tratta di “Dieta GIFT” studiata dal Dott. Luca Speciani, medico e agronomo.
GIFT è l’acronimo di Gradualità, Individualità, Flessibilità, Tono, ma la parola gift in inglese significa dono. Infatti occuparsi di se stessi per migliorare la nostra salute è il più grande regalo che possiamo fare a noi e alle nostre famiglie.
Dieta GIFT è un modo di organizzare la propria routine alimentare che va al di la del conteggio delle calorie, per ottenere uno scopo fondamentale: inviare al cervello attraverso il cibo i segnali corretti. A cosa servono questi segnali?
Attraverso questi segnali il cervello riceve l’informazione fondamentale che ci ha portato a sopravvivere in tutte le condizioni ambientali che abbiamo dovuto affrontare durante l’evoluzione, ovvero se siamo in una situazione di abbondanza o di carenza di cibo. Se siamo in una situazione di abbondanza il cervello da al corpo l’input di consumare, differentemente di accumulare.
Purtoppo attualmente, i segnali che il nostro cervello riceve sono spesso di carenza anche quando abbiamo il frigo pieno, perchè il cibo che mangiamo è di scarsa qualità.
L’ormone principale che si occupa di inviare il segnale al cervello è la leptina, che viene secreta dal tessuto adiposo dopo che abbiamo assunto cibo, a patto che questo sia in quantità sufficiente, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, ovvero della proporzione tra carboidrati, proteine e frutta e verdura.
Dieta GIFT ci insegna a mangiare, non ci dice cosa mangiare, perché ognuno ha il suo gusto, le sue preferenze che vanno rispettate. Ci insegna però i principi fondamentali e improrogabili per costruire le proprie abitudini alimentari.
- Cibo di qualità: integrale, biologico, di stagione, più vario possibile, senza conservanti, coloranti e altri additivi per ridurre l’effetto infiammatorio del cibo al minimo.
- Colazione abbondante, pranzo medio, cena leggera, per dare al cervello il segnale di abbondanza subito al mattino e fornire una quantità di cibo ridotta quando non abbiamo più la possibilità di bruciarlo.
- Piatto tripartito, ovvero sia nel piatto della colazione che in quello del pranzo dobbiamo verificare che ci sia la presenza di carboidrati, proteine e frutta e verdura (la cena può essere bipartita, ovvero senza carboidrati se siamo sovrappeso).
- Eliminazione degli zuccheri semplici e raffinati, con lo scopo di modulare la nostra percezione del sapore dolce alla dolcezza che la natura offre attraverso la frutta.
- Attività fisica quotidiana che serve a dare al cervello il segnale che il nostro corpo è in salute e in grado di andare a procacciarci il cibo.
Il primo effetto che si ottiene mettendo in atto queste semplici regole è la riduzione del senso di fame con una conseguente regolarizzazione del peso.
L’effetto antiinfiammatorio di uno stile alimentare che riduce al minimo l’utilizzo di cibi processati dall’industria si manifesterà comunque in un tempo breve, con il miglioramento della performance delle nostre papille gustative, che piano piano non troveranno più gratificazione da sapori troppo forti o artificiali.
Attraverso l’aiuto di professionisti come i GIFT Food Tutor, o approfondendo l’argomento sul sito della medicina di segnale potremo cominciare a prendere dimestichezza con una alimentazione più consona al funzionamento del nostro sistema mente-corpo con un grande beneficio oltre che per i nostri sensi anche per la nostra longevità in salute.